Venerdì 14 agosto
Alla sveglia e alla colazione a base di frutta (nuovo regime alimentare da un paio di giorni) seguono una serie di mail di Abuna Abdo: cerchiamo idee per il 20 novembre – Giornata Mondiali dei Diritti dell’Infanzia - legate al Progetto GNRC “Learning to live togehter”; svilupperemo un progetto da sottoporre a OPAM per lo sviluppo e lo stimolo della scolarizzazione in Libano.
Sono molto felice che Padre Abdo mi coinvolga in ogni cosa possa interessarmi o alla quale crede io possa dare un contributo. La sua esperienza e la sua proattività fanno sì che da una semplice idea si arrivi spesso a sviluppare un progetto, se non addirittura un programma. È molto stimolante avere a che fare con un anima così attiva, indipendentemente dal suo ruolo ecclesiastico.
Inizio ad informarmi su entrambi i temi e mi preparo la raffica di domande che farò a Pére Abdo appena saliremo sulla voiture per raggiungere Khiam, nel sud del Libano al confine con Israele: lì passeremo la giornata con Elham e la sua famiglia.
Appena partiamo noto delle bandiere e delle decorazioni lungo la strada, chiedo di cosa si tratta e scopro che oggi, 14 agosto, è l’anniversario dalla vittoria del Libano su Israele nel conflitto del 2006. Padre Abdo aggiunge che le istituzioni temono che oggi vi siano degli attacchi da parte di Israele, che approfitti di questa occasione. “La situazione è tranquilla, ma si tratta di un equilibrio fittizio. Siamo in una situazione di stallo considerando che Israele continua a occupare parti del Libano e il partito di Dio di resistenza (Hezbollah) continua ad armarsi per difendersi. Non è stata ancora trovata una soluzione per i Palestinesi ai quali Israele non riconosce finora il diritto di ritornare in Palestina e avere un loro stato” spiega Pére Abdo.
Mi sembra pazzesco. Stiamo andando in giro tranquillamente. L’unico segnale di questa tensione, lungo la strada che percorriamo, sono gli svariati posti di blocco.
La raccomandazione di Padre Abdo, ribaditami da Elham in seguito, è quella di non parlare ai militari al posto di blocco, nemmeno rispondere ad eventuali domande, mettere via gli occhiali da sole (che usano solo gli stranieri) prima di arrivare a Khiam.
In questa zona gli stranieri non possono entrare senza permessi speciali. Lo stato d’animo cambia un po’, non si tratta di paura, ma di consapevolezza. La realtà a volte arriva come uno schiaffo, che sono felice di non ricevere.
Raggiungiamo a Saida Elham, che arriva in macchina da Beirut con la sorella e il fratello. Elham sale in macchina con noi.
Nel tragitto verso Khiam ci fermiamo lungo un fiume in cui parecchia gente fa il bagno, si tuffa, un pastore fa pascolare le caprette.
Presto ci addentriamo in un paesaggio quasi lunare. Strade strane, quasi assurde. Case qua e là, alcune distrutte e abbandonate altre in ricostruzione.
Una costruzione imponente su una collina cattura la nostra attenzione. Inutile dire che la curiosità non è solo donna: Padre Abdo si fionda verso questa struttura. Chiede ai custodi di cosa si tratta: Istituto per Mutilati di Guerra. Domanda di poter entrare: quando mi presenta capisco di poter parlare e quindi sorrido e saluto in francese. I custodi chiamano all’interno e rispondono prima negativamente. P. Abdo li convince spiegando che è promotore di progetti sociali e di cooperazione dalle parti di Saida. Entriamo.
Ci accolgono con la tradizionale gentilezza offrendoci acqua e caffé.
In questo istituto ospitano i mutilati di guerra e le loro famiglia per periodi brevi nel corso del periodo estivo. Non riesco a capire come venga sfruttato nei restanti mesi dell’anno, ma mi risulta difficile credere che non venga utilizzato: si tratta di una struttura nuova, molto grande, composta da diversi bungalow per l’accoglienza degli ospiti, che a causa dei diversi conflitti sono parecchi, soprattutto in questa zona. Ringraziamo per la disponibilità e salutiamo.
Ci avviciniamo all’ultimo posto di blocco. Metto via anche la guida e la macchina fotografica. Padre Abdo e Elham salutano. Il militare, un ragazzo giovane non più che 26enne, chiede qualcosa. Pére Abdo risponde. Il militare fa un’altra domanda. Alla risposta perentoria di Padre Abdo passiamo e tiro un sospiro di sollievo.
Abuna Abdo mi spiega che alla prima domanda chiedeva l’identità. Alla seconda domandava i nostri documenti. In questo caso la risposta di Padre Abdo è stata “Ma io sono Padre Abdo Raad” e il militare ha deciso che poteva lasciarci andare.
Sangue freddo e esperienza. Se avessimo consegnato i documenti saremmo dovuti tornare indietro: una passaporto diverso da quello libanese, senza relativo permesso, non era ben accetto.
Penso.
Al nostro paese, alla libertà, all’abitudine che spesso fa dimenticare i passi compiuti nel corso della storia.
Al paese dei cedri, alla sua storia travagliata, alle restrizioni, all’abitudine che spesso fa vedere i conflitti semplicemente come qualcosa che può capitare.
È davvero tutto relativo in questo mondo, nella vita.
Arriviamo a Khiam. Dalla strada per raggiungerlo si vede perfettamente Israele, il confine segnato da una rete di metallo, al di là della quale c’è un vasta e organizzata piantagione di mele, con a fianco l’azienda per il confezionamento e l’invio all’interno dei confini israeliani.
Questo viaggio è di poche ore, ma così intenso da richiedere silenzio.
Arriviamo chez Elham.
Ci sono i suoi genitori, suo fratello Ali, le sue sorelle Cabila e Nada e la famiglia di Nada: il marito Mohamad, Carine, Hassan e Ali.
Ci accolgono con grandi sorrisi. Faccio il giro della casa, un duplex: villetta singola su due piani. Hanno iniziato a ricostruirla dalle macerie dopo il conflitto del 2006, a causa del quale si sono rifugiati nella zona di Zahle, nella Valle della Bekaa.
Sembrano racconti di una qualcosa di lontano. Eppure loro l’hanno vissuta. La loro casa era rasa al suolo. I tanto amati fiori di Elham erano scomparsi. Tutto, o quasi, rinasce ora. Con calma, in base alle possibilità.
Si inizia ad apparecchiare. E qui trovo la conferma di ciò che avevo letto inizialmente nella guida, non che fino ad oggi non avessi avuto modo di sperimentarlo: l’ospitalità delle famiglie libanesi si traduce nel preparare abbastanza cibo per sfamare almeno il doppio degli invitati. In questo caso credo si raggiungesse il triplo.
Un piacere per gli occhi oltre che per lo stomaco. Un tripudio di piatti libanesi buonissimi. Dal kibi, carne tritata e cruda con olio e origano, al labhne, formaggio molto fresco e un po’ acido, fino a pollo con patatine, riso con pollo e arachidi (delizioso!), involtini di foglie di vite, melanzane e zucchine ripieni di riso. Insalata, torta di zenzero, salse varie, Khebez forn (pane arabo).
Cerco di assaggiare poco di tutto ciò che trovo sulla tavola, tralasciando i piatti che avevo già assaggiato. Una delizia. E io che speravo che la cucina libanese non mi piacesse, mannaggia!
Dal “banchetto estivo” allestito nel salone ci si sposta sulle poltrone. Arrivano vassoi (sì, al plurale) di frutta. Stento a riconoscere una pesca nel frutto che mi si presenta con dimensioni quanto meno triplicate rispetto al normale. La mia faccia deve aver tradito il mio sgomento: scoppiano tutti a ridere quando vedono la mia reazione alla vista di quel melone travestito da pesca. E come se non bastasse è pure delizioso! Non si parla di OGM, tutto è coltivato dalla famiglia di Elham nel giardino.
Si chiacchiera. Carine parla perfettamente l’inglese ed è felice di poterlo allenare un po’. Il suo sogno è quello di viaggiare per lavoro. Vuole diventare un medico..
Parlo con Nada, sua mamma. La prima domanda in un discorso è sempre “Che lavoro fai?”, a seguire “Quanti anni hai?”, “Sei sposata?”. Nada non rispetta quest’ordine.
Parliamo di quanto sia importante che ognuno abbia il tempo per organizzarsi la sua vita, decidere del proprio futuro. Il matrimonio solo al momento giusto, con quella che pensi sia la tua metà ideale, che poi non significa si riveli perfetto in senso assoluto, ma semplicemente la persona giusta per te, che in un certo senso ti completi.
Ci troviamo in tanti modi, molte sue idee rispecchiano il mio modo di pensare. Sono felice di potermi confrontare con una donna aperta che conferma ciò che ho sempre pensato: in ogni famiglia, villaggio, città, nazione ci sono mentalità molto diverse tra loro. Chiuse o aperte al confronto.
Carine è molto fortunata ad avere Nada come mamma e sono convinta anche del contrario.
Sarei felice di accogliere Carine e la sua famiglia nella mia piccola dimora di 55 mq e non escludo che per la piccola grande dodicenne la cosa possa davvero avverarsi.
Il mio stomaco giura vendetta per eccesso di cibo introdotto, ma è senza dubbio soddisfatto della qualità. Ci aspettano più di due ore di viaggio quindi a fine pomeriggio iniziamo a salutare.
Nel corso del pomeriggio mi sono fermata più volte a guardare le persone che mi circondavano. Mi sono sentita fortunata. Di essere lì. Di condividere il tempo, le risate, i discorsi con questa meravigliosa famiglia.
I miei occhi a forma di pesca devono avere commosso tutta la famiglia: 3 enormi prototipi di pesca-melone sono il mio apprezzatissimo souvenir della giornata. Finiti i saluti rimontiamo in macchina e la sensazione è così piacevole che scende qualche lacrima di gioia. Sono fatta così.
Padre Abdo si era fatto spiegare la strada per raggiungere il confine e da lì ripartire in direzione Saida. Aveva scritto tutto su un foglio.. che non ci ha seguito. Ma la fiducia nel nostro spericolato driver non è stata minimamente scalfita da questa piccola defaianace.
Percorriamo la strada che segna esattamente il confine con Israele. Vediamo la piantagione di mele da vicino. Alla vista del paesaggio si alterna la vista di cararmati dell’UNIFIL (Forza di Intermediazione delle Nazioni Unite in Libano).
Ritengono questo spazio pericoloso. Era qui e in tutta la vallata su cui si affaccia Khiam, che si consumava la guerra, la devastazione.
Ci fermiamo in un punto panoramico. Padre Abdo mi indica il Monte Ebron: è il monte della trasfigurazione di Gesù Cristo, mi spiega Abuna Abdo, e si trova sulla confine di questi quattro paesi. Si racconta, e ci spera, che un giorno Israeliani, Libanesi, Siriani e Palestinesi si troveranno su quel Monte per decidere come vivere in pace e in condivisione.
Un pensiero, un’immagine che mi accompagneranno per molto tempo, non solo in Libano.
Il viaggio di ritorno si rivela un piccolo e divertente pellegrinaggio da diversi amici di Pére Abdo, alcuni facenti parte dell’UNIFIL.
IN attesa di ripartire in direzione Saint Sauveur seguiamo una piccola processione, con tanto di fuochi d’artificio finali, verso la Chiesa di Ain Ebel. Domani è ferragosto o meglio il Giorno dell’Assunzione della Vergine Maria. Non credo di aver mai visto tante chiese in vita mia.
Dal momento in cui siamo risaliti in macchina per raggiungere Saint Sauveur mi è risultato difficile proferire parola.
Penso.
A ciò che ho visto. Alle parole che ho sentito. Alle case che non ci sono più e a quelle che torneranno ad esserci.
Una giornata che rimarrà impressa nella mia memoria e che sarebbe qualcosa da raccontare ai propri figli. Se mai ne avrò spero la ascolteranno.
Una giornata sul confine. Nella terra di guerre create dallo spirito autodistruttivo dell’uomo.
Libano e Israele, così vicini eppure così distanti.
Mi concentro sul Monte Ebron.