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14 octobre 2009 3 14 /10 /octobre /2009 22:52

Venerdì 21 agosto

 

Le coincidenze esistono? O sono semplicemente i piani stabiliti dalla vita che abbiamo scelto di imparare quando da lassù abbiamo scelto di essere ciò che siamo oggi qui giù?

Una domanda troppo ampia per una piccola, ma molto piacevole coincidenza.

I miei genitori un paio di giorni fa chiacchierando davanti a un gelato con un’altra coppia hanno scoperto che entrambe le figlie erano in Libano. Da lì lo scambio di contatti e la mia chiamata a Jessica.

Siamo entrambe di Milano, 10 minuti di distanza in macchina. La prima volta che ci sentiamo siamo a circa 100 km di distanza l’una dall’altra in un paese a migliaia di chilometri di distanza dall’Italia. Lei sta seguendo un progetto di cooperazione, parla arabo, rimarrà in Libano per un anno circa.

D’accordo che ci saremmo viste nel week end, mi ributto sul blog in attesa del pranzo a casa dei suoceri di Lara.

La casa dei genitori di Fadi è molto carina, dal suo balcone si vede il paese in cui vive Lara, idea molto romantica. Sono una bella coppia e sarei davvero felice di essere al loro matrimonio il prossimo agosto.

 

La madre di Fadi ci spiega come cucinare il fattush: insalata con pomodorini, cipolle, spezie e pane simile al nostro sardo carasau. A tavola siamo in 6, si aggiunge infatti il cugino più giovane di Fadi, molto simpatico e concentrato mentre tenta di parlarmi di ciò che conosce dell’Italia in un francese mezzo inglese.

Guardiamo le foto di Fadi e scopro che è stato uno dei tanti bambini adottati a distanza, nel suo caso da un francese molto facoltoso che lo ha invitato a rimanere qualche mese in Francia. Una volta trasferitosi, il richiamo del Libano e soprattutto la mancanza della madre hanno fatto sì che Fadi, ragazzino di 11 anni, tornasse a Beirut e salutasse senza alcun dispiacere il veccho continente. Ora è uno un militare. Uno dei tanti che presidiano le migliaia di posti di blocco sparsi nel paese dei cedri.

Il padre di Fadi è agricoltore, ha un appezzamento di terra non molto lontano da casa. Una volta finito il pranzo si alza e torna con diverse forme di sapone artigianale fatto con le sue mani così come i due barattoli di marmellata alle albicocche che mi porge augurandosi che io riesca a portarli in Italia. Lo farò.

Una famiglia deliziosa, come il cugino che venuto a sapere del mio desiderio di fumare l’arghilè corre in terrazzo a scaldare la carbonella per farmi provare.

Mi aspetta la visita al Villaggio SOS di Sferai e nonostante io stia benissimo e mi senta a casa sono costretta ad andare via. Con il cuore e gli occhi più ricchi di quando sono tornata. Shukran.

 

Il Villaggio SOS di Sferai si presenta perfetto e accogliente, come tutti i Villaggi SOS che ho visto fino a ora nel mondo. Chiacchieriamo con il Direttore, facciamo il giro del parco giochi e non appena accenno il desiderio di entrare in una casa sento i ragazzi e bambini che sussurrano e scattano nelle loro stanze. Ne becco alcuni mentre infilano maglie sotto il letto, altri che nel chiudere velocemente l’armadio rischiano di far cadere l’anta. In realtà c’è un grande ordine, dovrebbero vedere casa mia nei momenti peggiori!

 

Al tramonto Abuna Abdo e io torniamo verso Saint Sauveur. Sulla strada mi propone di andare in un posto a fumare l’arghilè. Sono più che felice di dire di sì, sia per la compagnia che per il programma. Con lui è davvero impossibile annoiarsi.

 

Ci fermiamo davanti a un ristorante molto grande, ma al posto di andare in quella direzione seguiamo la musica che ci porta in una casa piena zeppa di gente vestita a festa e sorridente.

Scopro di essere a una specie di addio al nubilato e in particolare all’addio al nubilato della donna che si sposerà al convento di St Sauveur la domenica successiva.

La serata inizia con un piccolo buffet con tutti i tipi immaginabili di mezze. Le donne sono super agghindate, tacco tra il 12 e il 15, trucco particolarmente marcato, per usare un eufemismo.

Inizia la musica. La futura sposa sembra divertirsi molto. Balla con tutti gli invitati, o quasi. A un certo punto arrivano, come da tradizione, tre musicisti che intonano canzoni tipiche accompagnate dal suono di tamburi.

Qui, come in altri momenti, penso di essere davvero fortunata. Per la prospettiva, il modo, i tempi in cui ho la possibilità di conoscere questo paese. Per le persone che mi accompagnano in questa scoperta. Meravigliosa e continua.

 

Torniamo un po’ stanchi al Centro e Abuna Abdo si precipita al pc per chiudere un paio di lavori. Un uomo instancabile. Io mi fermo con Odha davanti alle finestre che danno al giardino del centro. Chiacchieriamo della sua scelta di vita. Di Padre Abdo. Di me. Di lei.

 

Shukran. Dal profondo del mio cuore.

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